Calendario tradizioni culinarie

Nel nostro paese, come in quelli vicini, anche in periodi difficili (prima e dopo le guerre mondiali) il cibo non è mai scarseggiato, però l’occasione buona per mettere maggiormente in mostra le capacità culinarie delle nostre mamme era quella delle festività tradizionali, come  Natale, Carnevale, Pasqua e durante la festa della nostra Patrona, la Madonna Maria Santissima Preziosa, che durava minimo tre giorni, in settembre. 
 
GENNAIO: il maiale
In tutte le case contadine verso gennaio, mese freddo ed asciutto, si ammazzava il maiale, preferibilmente quello nero casertano, allevato in casa con gli avanzi della cucina, mele, zucche e alla fine, nel periodo di ingrasso, con la farina di mais ,“la farinella”, che oltre a produrre lardo, rendeva la carne tenera e saporita. I maialini piccoli venivano comprati alla “Fiera di San Lazzaro” a Capua, il giorno di S. Stefano, oppure nel mercato settimanale che si teneva in alcune strade di Casale (l’ultima che ricordo avveniva in piazza Villa nel primo tratto di Via Bari, negli anni “70)
Che festa, che felicità    quando si ammazzava un  maiale! In genere ci si rivolgeva a persone esperte, chiamate “accirapuorche”. I bambini attendevano con ansia il giorno dopo, quando a loro veniva affidato il compito di portare l’“arruste” (un assaggio di carne fresca del maiale: costolette, (costatelle) cotiche, pezzi di fegato avvolto in rete di grasso, sangue cotto e foglia di alloro per dare profumo, tutto messo in un piatto avvolto da un tovagliolo di canapa) alla zia, ai nonni o alla vicina di casa, che a loro volta, ricambiavano l’omaggio con una piccola paghetta .
I ragazzini facevano a gara per portare il regalo, perché sapevano che gli spettava una ricompensa in danaro e al ritorno, dall’entità della “mazzetta” ricevuta, si vedevano brillare i loro  occhi per la  contentezza. Dal maiale si ricavavano tante provviste alimentari.                            - 
Nelle famiglie contadine c’erano sempre, nelle cucine, appese alle travi in legno delle pertiche con: salsicce, pancetta salata e arrotolata, prosciutto, capocollo, lardo…
Si produceva la sugna “ ‘nzogna” ( ricetta 4) che veniva messa nelle vesciche dell’animale o in vasi di vetro ed era molto usata in cucina e i ciccioli “cicole”che erano mangiate calde col sale o consumate nella preparazione della famosa “zizzinella” ( ricetta 46).
Quando si ammazzava il maiale si faceva anche il sangue cotto ( ricetta  5 ) e la minestra “a menesta”( ricetta 20); inoltre, la salsiccia che non veniva consumata fresca, veniva essiccata e conservata sott’olio: “a cumposta” .
 
FEBBRAIO: Carnevale 
Carnevale era una festa nella quale si preparavano tante buone pietanze anche perché il giorno dopo sarebbe iniziata la Quaresima,  lungo periodo di quaranta giorni durante il quale c’era l’astinenza dalle carni  che sarebbe terminata solo il giorno di Pasqua.
Tipici piatti di Carnevale erano le polpette dolci “le palle di Carnevale”  e il fiatone (ciaton', ovvero il migliaccio) 
 

 

  MARZO / APRILE: San Giuseppe e Pasqua 
A san Giuseppe si usava preparare le zeppole (vedi ricetta 54)
La ricetta più antica e’ quella con semola e farina, solo in tempi più recenti iniziarono a circolarne altre: le zeppole con la siringa (vedi ricetta 55) e quelle con le patate (vedi ricetta 56)
In molte case le zeppole si facevano anche il giorno delle Palme.
Pasqua
In attesa delle festività pasquali, nelle case contadine, si mettevano da parte le uova di gallina o di oca  per utilizzarle nella preparazione di rustici e dolci vari. La settimana santa le massaie di Casal di Principe erano super indaffarate a preparare: ciambelle, struffoli (ricetta 49) taralli nasprati (ricetta 53)  pastiere di tagliolini (ricetta 18) pizze rustiche (vedi ricetta45) pizze di crema (ricetta 48) e la famosa “zizzinella” (ricetta 46) che i giovani portavano con loro, insieme ad altri dolci, il lunedì in Albis, al Santuario della Madonna di Briano, in campagna, per fare la  “Brianella o Prianella”, cioè una scampagnata dove il cibo veniva consumato sui prati.
Ai bambini, per non far assaggiare la “zizzinella” appena sfornata, che emanava un profumo gradevolissimo, si diceva che mangiarla prima del lunedì in albis “faceva uscire la coda”.
In genere, si iniziava  il giovedì con la preparazione dei taralli; il venerdì si facevano le pizze di crema, le pizze rustiche e la zizzinella mentre, il sabato, era il giorno del pane e della pastiera di tagliolini. Tutto cotto nel forno a legna!
Le uova raccolte in questo periodo, oltre ad essere usate nella preparazione dei piatti tipici, venivano regalate alle maestre, alle suore e al sacerdote che passava nelle case per la benedizione pasquale. Le uova, molti anni fa, hanno rappresentato una buona risorsa per le famiglie contadine insieme all’allevamento dei polli. Nel cortile c’era il gallo, che “pizzicando le galline” dava la possibilità alle massaie di mettere a covare le uova sotto le chiocce ed allevare tanti pulcini. Nei mercati e nelle fiere, si vendevano tanti polli ruspanti, cioè cresciuti in casa, ottenendo una discreta fonte di sostentamento e ottima carne da mangiare. Il pollo, di solito, veniva ammazzato di sabato e con il collo, le ali, torace e zampe avvolte dalle interiora si otteneva un ottimo brodo. La domenica, poi, spesso si usava preparare per il pranzo con le cosce, il petto e le patate tagliate a fette, sempre cotto nel forno a legna.  
                                  
ESTATE: le conserve
L’estate, nelle case contadine di Casale, era il tempo delle conserve.
Le massaie, come alacri formiche, conservavano i prodotti della terra per poterli consumare poi in autunno-inverno, quando alcune cose non ci sarebbero più state. 
Oggi, abituati a trovare dai fruttivendoli: pomodori, frutta e ortaggi in tutte le stagioni dell’anno e ad acquistare nei supermercati il passato di pomodoro, la polpa, i pelati  ed anche ortaggi sott’olio e sott’aceto, non riusciamo più a comprendere la mentalità di chi doveva farsi “le provviste per l’inverno”, perché se non le facevi in casa non avevi dove acquistarle. 
E allora i nostri ampi cortili, con i portoni sempre aperti, erano un continuo fermento: si preparavano marmellate (  ricetta 60    ), frutta sciroppata ( ricetta 59     ), le melenzane sott’olio (ricetta 65 ) ma soprattutto si facevano “i pomodori” (le bottiglie e i “buccacce” (barattoli) (ricetta 66  ) un’autentica “sagra” che coinvolgeva tutti, piccoli e grandi, per intere settimane in luglio e agosto, quando strade e rioni si coloravano di “rosso” e nell’aria si sentiva solo il profumo della passata e dei pelati e vedevi il fumo dei pentoloni ,“caurare”, o dei bidoni messi a bollire per ore e ore fino a notte fonda. Tutti i negozi di casalinghi, nel periodo estivo, esponevano all’esterno i prodotti occorrenti per la preparazione dei pomodori, che avveniva quasi in tutte le famiglie casalesi. 
Altro metodo per conservare i pomodori appena raccolti, era quello dei “piennoli”, ovvero rametti di più pomodori che venivano adagiati su dei fili di spago a forma circolare e poi appesi a pertiche o lungo i muri, in ambiente fresco e ventilato. Questa usanza è praticata ancora oggi  nella zona vesuviana di Napoli ed il “piennolo” lo si trova appeso in molte pizzerie o ristoranti della Campania e rappresenta una vera e propria prelibatezza.                                             
 
SETTEMBRE: “ ‘A festa ‘ra Maronne”    .
La festa patronale era, per Casal di Principe, “la festa delle feste”, attesa e desiderata, sia per la devozione verso la Madonna M.SS. Preziosa, sia perché occasione, quasi unica, di festeggiamenti nel paese. Essa si svolgeva nella prima decade di settembre (in genere 8-10 settembre, ma spesso si protraeva fino al 12) e in casa venivano preparati dolci vari e gli immancabili strufoli (ricetta  49   ) .
Il piatto forte, in occasione di questa  festa, era rappresentato dal “papero imbottito - u peper‘mbuttunet'”(ricetta 37) un’oca grande di circa un anno, cresciuta nel cortile di casa che veniva ammazzata e messa in un recipiente con acqua bollente per togliere tutte le piume e le interiora; quindi veniva “imbottita” con un impasto particolare, ricucita e cotta nel forno a legna insieme a patate affettate che riempivano completamente il tegame “ruoto”, che conteneva il “papero” dorato e profumato.
Questa pietanza, probabilmente, era stata importata nelle nostre zone dalle truppe francesi chiamate dagli Angioini; in particolare, Carlo I d’Angiò, nel 1268 si avvalse di Guillaume Etendard per combattere gli Svevi e, per ricompensa, gli assegnò  gran parte del nostro territorio. Casal di Principe divenne, infatti, feudo di Guglielmo Strendardo.
A dire il vero ancora oggi, in Francia, si alleva ed utilizza molto l’oca; la sua carne viene messa in scatola ed esportata all’estero e con le  piume vengono imbottiti ottimi cuscini e calde coperte.                          
                              
SETTEMBRE / OTTOBRE: la vendemmia 
Il periodo della vendemmia dell’uva, fine settembre-ottobre, era un altro momento di forte aggregazione del nucleo familiare. Si andava in campagna a vendemmiare, ovvero a raccogliere l’uva asprina matura, sulle pertiche che erano molto in alto, distese tra due o più grossi alberi di pioppo (vite maritata al pioppo). Per raggiungerla si usavano scale strette e lunghissime e ci volevano raccoglitori esperti.
L’uva, appena raccolta, veniva messa nelle fascine, poi riversata in tini di legno. Portata a casa, essa veniva prima pigiata coi piedi nudi (solo in seguito si usarono attrezzi meccanici) e poi messa nel torchio per la seconda premitura del mosto che, dopo alcuni giorni di fermentazione, si depositava nelle botti di rovere e diventava vino. 
Dalla bollitura del mosto per diverse ore, si otteneva  il vin cotto (ricetta 63) molto utile per dolci come i “susamielli”(ricetta 57) ma usato anche per condire l’insalata, sul formaggio parmigiano, sulla polenta e sul pane.
Dall’uva pigiata, tolti i semini e messa sul fuoco fino a diventare densa, si otteneva “la mostarda”(ricetta 64) una sorta di marmellata d’uva, conservata in barattoli di vetro.
 
DICEMBRE : Natale
Le festività natalizie, con le vacanze scolastiche, erano un altro momento molto sentito dalle nostre famiglie, che oltre ai riti religiosi, dedicavano parecchio  tempo alla preparazione dei dolci, come struffoli, raffaiuoli e roccocò (ricette 55 e 56), pizze rustiche o di crema e biscotti vari. 
Il pranzo di Natale iniziava  verso le ore 13,00, all’uscita della messa e vedeva tutta la famiglia riunita attorno ad uno o più tavoli, imbanditi con le migliori tovaglie “mesali”, piatti del servizio “buono”e posate.                              
Un pranzo tipo, iniziava con spaghetti alle vongole “fujute” (sgusciate)  o spaghetti di Natale (ricetta 16) o “spaghetti ai raffaiuoli”(ricetta 17) . Come secondo  si usava molto il baccalà fritto a “tusciariello”, cotto in olio bollente, o lesso con l’aggiunta di papaccelle (ricetta 67) olive, sedano, cavolo scaldato detta “insalata di rinforzo”.
Alcune famiglie sostituivano o aggiungevano al baccalà anche la frittura di anguille o il capitone alla brace condito con olio, aceto e sale. Per i dolci primeggiavano gli “struffoli”, la pasta reale e la pizza di crema e poi frutta secca come castagne del prete (morbide) infilate a ghirlande,  noci, nocciole, noccioline americane (arachidi) il tutto innaffiato dal un buon  vino asprino o da un bicchierino di “rosolio” (ricetta 68) fatto in casa.
Si chiudeva il pranzo con la frutta fresca di stagione, come le mele annurche e i meloni palermitani (dalla buccia verde scuro), conservati proprio per il Natale, impagliati con spago o foglie intrecciate ed appesi in alto sui muri delle case.
In questa festività, non mancava mai una buona “pizza di scarola” (ricetta 44).