Vetustum Cellarium

Ricordi storico culturali di un tempo che fu a cura del Colonnello Medico Dott. Alfonso Miceli di Serradileo.
Il
termine “cellaio” deriva dal termine “celliere (o celliero)” che, a sua volta deriva dal francese antico “cellier” che è il latino “cellarium” s.n. (der. da cella: “cella, cantina”) e anticamente significava “cantina”, stanza terrena o sotterranea dove si conservava il vino; dispensa, credenza in cui si conservavano i cibi. Diverso dal “cellarius” s.m., che individuava colui che aveva cura della cantina o della dispensa: “cantiniere “-Treccani).
Un tempo, in Casal di Principe, di queste costruzioni ne esistevano diverse, in quanto le case padronali, abitate da proprietari terrieri, avevano necessità di conservare derrate alimentari, vini, olii, salumi e quant’altro. Con l’andare dei decenni tutto si è modernizzato, ed il “Vetustum Cellarium”, l’Antico Cellaio, è scomparso. Con esso è scomparsa la tradizione, la storia propria di un popolo che, al pari di formiche laboriose, metteva in deposito ciò che la terra e la natura fornivano, per poi superare il rigido inverno. 
In Casal di Principe, però, sopravvissuto ai secoli, chissà come e chissà perché, esiste ancora, forse ultimo, un CELLAIO.
Parte integrante di una casa “palazziata” che sorge in angolo tra via Matteotti (già via S. Lucia poi via Palazzo) e via Colombo (già Vico San Lorenzo), si può ancora osservare un antico pezzo di storia: “IL CELLAIO”.
Lo stabile, nella sua interezza, è una costruzione, a dir poco, dei primi del secolo XVIII, in quanto, come si rileva ad una piantina di Casal di Principe redatta da un arciprete dell’epoca, nell’anno 1758 la costruzione già appariva.
Essa apparteneva ad una famiglia possidente di allora e fu successivamente ereditata da un diretto discendente di essa: il sacerdote Don Nicola Cantelli.
Don Nicola Cantelli, con rogito del Notar Paolo Magliulo da Casal di Principe, in data 27 giugno 1869, vendette, per la somma di 2244 lire italiane, pari a 528 ducati napoletani, la casa a D. Vincenzo Ronga. […….] che aveva sposato D. Maria Giuseppa Cantelli, nipote ex frate del sac. D. Nicola.
[……] “L’Antico Cellaio”, consta di tre stanze terrene più di un ballatoio dal quale si scende in una grande cantina, scavata al disotto del livello stradale.
Sia le stanze terrene che la cantina hanno conservato il loro aspetto settecentesco. Soffitto con volta a vela per le stanze, volta a croce per il ballatoio, volta a botte, con arcate di sostegno, per la cantina, che misura circa 130 mq. Il ballatoio conserva ancora la vecchia porta del ‘700 in legno, con la parte superiore costituita da una grata a rombi, sempre in legno con scuri in legno.
Sul ballatoio, si può ammirare un trofeo di armi bianche miste, medioevali e rinascimentali, con sovrapposto, lo stemma araldico del Casato dell’attuale proprietario. In una delle stanze terrene, è stata allestita una taverna che si sforza di riprodurre nelle suppellettili, nei trofei di caccia, negli accessori, un’antica “Taberna” ottocentesca di ricordo borbonico e dove si possono osservare, esposti, lo stemma dei Borbone delle Due Sicilie e le effigi del Re Ferdinando II° e di Maria Teresa d’Austria Sua Regal Consorte, oltre che di Francesco II, ultimo re di Napoli e della  Regal consorte M. Sofia Amalia di Baviera, sorella dell’Imperatrice d’Austria, la storicamente famosa “SISSI”.
In questa “taverna”, con gli occhi della fantasia, si vedono accedere gentiluomini con cilindro e cappotto a pipistrello, ed ancora,  villici, “lazzaroni” e gendarmi in giamberga, Kepì e budriere con sciabola e baionetta. La cantina conserva pezzi storici di un’agricoltura che fu. La vecchia agricoltura, attività primaria dell’agro di Casal di Principe che, col sudore della fronte di migliaia di contadini casalesi, dette quel poco da vivere, per secoli, a tante, tante famiglie.
Si possono osservare un’antica tina che serviva per il trasporto di una particolare uva della zona, dalla quale si ricavava quel caratteristico vino bianco detto “asprinio” per il suo gusto un po’ acre, che d’estate, quando ancora non esistevano tante bibite artificiali, bevuto, era un ristoro per il palato e per lo spirito. Si possono osservare antiche anfore in creta, dette “ceceri”, dalle quali i contadini bevevano l’acqua durante il lavoro dei campi nelle assolate giornate estive, ed altre anfore sempre in creta dette “langelle”, che si utilizzavano per il trasporto della squisita mozzarella prodotta con il latte delle bufale dei “Mazzoni”. Ancora, grosse anfore in creta dette “fesine”, che servivano per la conservazione sott’olio degli insaccati di suino. Si osservano punte a “lancia” che venivano montate sugli aratri di legno, trascinati dai buoi “…dalla pacata faccia…”; nonché i classici “pizzipaperi”, vecchie brocche di creta, in parte smaltate, per mescere il vino e che, con la loro forma, ricordavano i becchi (pizzi) delle oche (paperi), ed altri attrezzi che ricordano il lavoro dei campi, i canti dei contadini, i tramonti infuocati, il profumo del fieno. Vecchi oggetti di un tempo andato, ma tanto sereno!
L’Antico Cellaio, passò dalla famiglia Ronga alla famiglia Miceli circa 80 anni fa (1926) con il matrimonio di D. Maria Giuseppa Ronga jr, con il Barone (t.c.) Dott. Fausto Miceli di Serradileo Ten. Colonello di Sanità del Ruolo d’Onore, deceduto l’8 Giugno 1956 per complicanze di malattia cronocizzata contratta in guerra.
La famiglia Miceli di Serradileo, seppure a vol d’uccello, merita un cenno. Questa famiglia, che affonda le proprie radici nella storia ed ha contribuito alla storia d’Italia, è originaria della provincia di Cosenza (Calabria Citra). [….]
[….] Agli inizi del XX° secolo un ramo della famiglia, in persona S.E. il Barone (t.c.) Alfonso, Giuseppe, Maria Miceli di Serradileo (1851 – 1940) alto magistrato, si trasferì in Napoli dove il N.H. fu Presidente in quella Corte di Appello. Questo ramo, oggi, è rappresentato da Alfonso jr, a cui jure succesionis ex matre, è pervenuta la casa palazziata di Casal di Principe con, annesso, l’Antico Cellaio. [….]
[….] Personaggi e proprietari sono passati, la vita è cambiata, la modernizzazione è avanzata con lo storico evolversi degli eventi, e in tutti questi corsi e ricorsi, in tutti questi mutamenti, il “Vetustum Cellarium”, l’Antico Cellaio, muto testimone del ricordo e della laboriosità di un tempo che fu è lì, silenzioso, con i suoi ricordi, la sua storia, la sua leggenda.
Ma quel silenzio è più eloquente di tanti discorsi, di tante inutili parole, di tanta vuota retorica.
I suoi muri antichi, umidi, scrostati, anneriti dai secoli, raccontano di uomini passati, che con la loro opera, il loro lavoro, il loro sacrificio, il loro sudore, fatti di onestà, lealtà e rettitudine, ci impongono di conservare la memoria e le tradizioni che verranno, affinchè le future generazioni possano trarne insegnamento ed esempio, e percorrendo l’antica strada tracciata con onestà e lavoro, possano vivere di nuovo una vita serena e mirare ad un futuro di pace e speranza nell’avvenire.